Sino ad alcuni decenni orsono, gli atenei
italiani hanno visto spesso nelle loro aule una classe docente all'avanguardia
mondiale … Ma le cose oggi sono apparentemente cambiate. Oltre a un processo
che ha visto erodere il patrimonio morale dell’università italiana, anche le regole
formali del gioco non facilitano più, secondo alcuni, una selezione seria e
meritocratica del personale universitario né un monitoraggio accurato
dell’attività scientifica svolta da chi già ricopre una posizione a tempo
indeterminato. Colpevole sembra essere un coacervo di concause difficilmente
individuabili con chiarezza, anche se forse sono pure il frutto dell’estinzione
di una generazione di studiosi di eccellenza e di grande dirittura morale, cui
si può forse rimproverare di non aver saputo gestire efficacemente la loro
successione e di non aver combattuto
quei mali della loro università (consorterie baronali, assenteismo) di cui essi erano immuni ma che tolleravano.
Ma soprattutto il particolare regime giuridico-economico di favore di cui gode
il corpo docente italiano. Si parla, infatti, di trattamenti privilegiati e non
correlati alla produzione scientifica e quindi di una mancanza strutturale di
incentivi che spingano i ricercatori a intensificare la propria competenza,
come avviene invece in altri paesi … Spesso si sente affermare che il legame
fra produttività e retribuzione dovrebbe essere esteso anche a coloro il cui
compito è quello di produrre idee, le quali, però, non sono riducibili e
assimilabili ad altri beni economici … È difficile valutare il rendimento (e la produttività) di coloro il cui compito è quello di
pensare, riflettere, allargare il campo del sapere. Nell'area anglosassone la
quotazione di un ricercatore avviene sulla base dei lavori (articoli)
che egli ha pubblicato nelle riviste scientifiche considerate prestigiose. Tale
meccanismo costituirebbe un efficace incentivo per gli studiosi a fare sempre
meglio, a pubblicare con continuità e a non adagiarsi sugli allori … A prima
vista, la logica di estendere il regime della concorrenza all'attività
scientifica sembra ragionevole … ma a un’analisi più approfondita sorgono
alcuni dubbi. Infatti richiedere a un ricercatore un flusso costante di
risultati coronati dal successo editoriale, potrebbe disincentivarlo dal
lanciarsi in progetti ambiziosi e rischiosi i cui risultati, eventualmente, troveranno attestazione scientifica più avanti nel
tempo, inducendolo, al contrario, a concentrarsi su lavori di minore importanza
ma di immediata visibilità (pubblicabilità) … L’altro problema è come si possa pervenire
a stabilire oggettivamente la reputazione di una rivista considerata (poi)
top, la quale ha il potere di apporre su un lavoro, anche mediocre, il marchio
della qualità, sottraendolo di fatto ad ogni ulteriore criterio valutativo (magari frutto di una lettura attenta e
profonda) … Come è
possibile stilare un ranking dei giornali scientifici ? … Nella realtà a
stabilire il prestigio delle tribune scientifiche d’eccellenza non sono i
potenziali acquirenti (o
consumatori), bensì gli
stessi appartenenti alla professione, cioè non quelli che consumano le idee, ma
quelli che le producono. In genere, invece, il giudizio sul pane non lo dà il
fornaio, bensì l’acquirente … Il
processo che conduce alla classificazione delle riviste crea inevitabilmente
ambiti di potere, che influenzano selezioni e valutazioni e tendono in linea di
principio all'esclusione delle scuole minoritarie, le quali non riescono a far
entrare i propri giornali in tali classifiche. Quindi, chi intraprende una
carriera accademica deve preoccuparsi di
pubblicare i propri lavori sulle riviste top, il che a sua volta richiede
un’adesione al credo maggioritario ... Si ha così il paradosso di consolidare
il monopolio del pensiero dominante e indebolire il pluralismo e la differenziazione
del prodotto tanto auspicate.
(Francesco Magris --- La concorrenza nella ricerca scientifica ---)
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